La lavorazione della lana a Castellammare

Castellammare di Stabia, nel corso dell’Ottocento, pur non essendo un centro primario per la produzione di lana come altre realtà del Regno delle Due Sicilie, presentava comunque una sua specifica attività manifatturiera. La sua posizione geografica, affacciata sul Golfo di Napoli e vicina a importanti vie di comunicazione, favoriva lo sviluppo di attività artigianali e industriali di dimensioni più contenute. Re Carlo III, uomo colto e intelligente, si fece promotore di iniziative che miravano ad unire le doti artigiane-artistiche con le innovazioni industriali, anche per debellare la disoccupazione. Furono realizzate nel Regno varie scuole ed officine in cui apprendere il mestiere. Nel 1767, a Castellammare, un secolo e mezzo dalla fondazione, la chiesa del Gesù fu abbandonata poiché re Carlo III bandì dal suo regno la Compagnia di Gesù. La chiesa del Gesù fu affidata al clero, ma il convento annesso (l’ex Ufficio del Registro e ex Guardia di Finanza) ebbe un’altra destinazione. A Giuseppe Faccini di Ronciglione fu affidata la fabbrica di panni di lana, pelli e saponi situata nell’ex collegio dei Gesuiti.

La lavorazione della lana a Castellammare ha radici antichissime, nel Seicento, la grotta di san Biagio fu affidata ai cardatori di lana. Agli inizi del Novecento, le donne che lavoravano la lana per la produzione di materassi erano chiamate “’e matarazzare”.Il loro lavoro consisteva in diverse fasi:
Cardatura: La lana veniva prima pulita e cardata per renderla soffice e rimuovere eventuali impurità e nodi. Processo fatto a mano con l’ausilio di utensili chiamati “carde”, con denti metallici che pettinavano e pulivano la lana.
Imbottitura del materasso: La lana veniva poi distribuita e pressata all’interno del rivestimento del materasso, solitamente in tela di cotone.
Cucitura e rifinitura: Una volta imbottito, il materasso veniva cucito. Lavoro che richiedeva manualità, forza fisica e precisione. Mestiere che veniva tramandato di generazione in generazione.

L’avvento della tecnologia segnò un primo modesto passo verso la meccanizzazione nel lavoro. Questo processo avrebbe poi subito un’accelerazione nel corso del secolo, portando a una completa trasformazione del settore con la diffusione di macchine cardatrici meccaniche. Queste macchine, spesso azionate da motori elettrici o a vapore, permettevano di velocizzare notevolmente il processo di cardatura, rendendolo meno faticoso e più efficiente. L’industria Lavatoio Lanario Meridionale nacque nel 1918, l’opificio situato al Corso Vittorio Emanuele, 263, fu fondato dall’avv. Catello Brancaccio, dal 1921 conseguì numerosi premi come il Grand Prix di Parigi e quello di Bruxelles che gli conferirono il primato nell’esportazione in Europa di lane pregiate provenienti dalla Scozia. Il nome delle apparecchiature utilizzate “Leviathan”, dispositivi a più stadi, per il lavaggio e la sgrassatura meccanica dei fiocchi di lana sporchi, prendeva il nome dal mostro acquatico, in forma di serpente, menzionato dalla tradizione biblica, appunto “Leviathan”. In buona sostanza era progettata per rimuovere lo sporco e il grasso dalla lana in modo efficiente, causando il minor danno possibile alle fibre e utilizzando la quantità minima di acqua e detergenti. Era una macchina su larga scala, utilizzata a livello mondiale nel settore della lavorazione della lana. L’attività subì nel solo periodo compreso dal 1938 al 1945 dapprima una forzata sospensione dovuta al divieto di importazione delle materie prime e successivamente dalla requisizione dell’intero complesso da parte italiana e alleata per parcheggio di mezzi militari.

A cura di Giuseppe Plaitano

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