A Castellammare di Stabia, nel cuore della Concattedrale di Santissima Maria Assunta e San Catello, si trova un luogo di profonda memoria e riflessione: l’Ara Pacis. Questa cappella, inaugurata il 24 maggio 1925, è un sacrario dedicato ai caduti stabiesi della Grande Guerra, un luogo dove il ricordo del sacrificio si fonde con l’arte e la spiritualità.
L’Ara Pacis di Castellammare non è, come l’omonima romana, un altare della pace di epoca augustea, ma piuttosto un “altare della pace” inteso come luogo di omaggio a coloro che hanno offerto la propria vita per la patria. All’interno di questa cappella, l’atmosfera è solenne, con un piccolo cannone e cimeli di guerra che contribuiscono a evocare il contesto storico. Sull’altare, un capolavoro del Ribera raffigurante la Deposizione di Gesù, donato dal conte Vincenzo Coppola al Vescovo Sarnelli, aggiunge un ulteriore strato di significato, collegando il sacrificio dei soldati a un più vasto messaggio di redenzione.
Tutt’intorno all’altare, le lapidi marmoree sono incise con i nomi degli stabiesi caduti nella guerra del 1915-1918. Questi elenchi sono un tentativo commovente di dare un volto e un nome a chi ha sacrificato la propria vita. Lampadari, candelieri e altri ornamenti, ispirati a motivi bellici, arricchiscono il sacrario, rafforzando l’impronta di luogo di commemorazione.
Tra gli elementi che arricchiscono l’Ara Pacis, spicca in particolare una lampada votiva di grande pregio e significato. Questa lampada non è un comune oggetto liturgico, bensì un vero e proprio simbolo del legame tra la città di Castellammare e il suo storico Cantiere Navale. Fu infatti realizzata con grande abilità dalle maestranze del Cantiere navale di Castellammare di Stabia, un’eccellenza che da decenni rappresenta il cuore pulsante dell’industria e del lavoro locale, datata anno VII E.F. 1928. La sua presenza sottolinea il contributo non solo dei soldati, ma anche della comunità civile e delle sue capacità artigianali e industriali, all’omaggio ai caduti. È un pezzo unico che testimonia l’abilità e la dedizione dei lavoratori stabiesi, e funge da perpetuo ricordo del loro impegno e del loro legame indissolubile con la storia della città.
Tuttavia, è fondamentale sottolineare un aspetto spesso trascurato: molti caduti non sono inseriti in queste lapidi. Questo non è un difetto imputabile alla volontà o alla memoria della comunità, ma piuttosto una conseguenza delle drammatiche circostanze dell’epoca. Innumerevoli soldati sono dispersi, i loro corpi mai ritrovati o identificati, i loro nomi persi nelle nebbie della guerra e della burocrazia. Le liste compilate in tempi successivi, spesso basate su informazioni frammentarie o incomplete, non potevano e non possono rendere conto di ogni singola perdita. Questa assenza è un monito silenzioso. Uno tra i tanti il sottotenente Pace Mario, di Donato, nato a Castellammare di Stabia il 7 settembre 1893, appartenente all’VIII Reggimento Artiglieria da Fortezza, morì su Monte san Michele per ferite riportate il 6 settembre 1915, sepolto nel Sacrario di Redipuglia (GO), questa la motivazione della Medaglia d’argento al valor militare: Ufficiale osservatore di un gruppo di batterie di medio calibro, sulla prima linea delle trincee, volendo individuare una batteria da montagna avversaria che tirava contro le nostre fanterie, per potere meglio vedere, usciva dall’osservatorio, con mirabile ardire esponendosi all’inteso fuoco nemico e cadeva mortalmente colpito. Bosco Cappuccio, 6 settembre 1915. Questa foto cartonata è il ricordo che la famiglia all’epoca offrì ai familiari ed amici.
Le lapidi dell’Ara Pacis, pur essendo un tributo essenziale, ci ricordano anche l’immensità di un sacrificio che travalica i nomi incisi nel marmo. Rappresentano solo una parte di una tragedia ben più vasta, un eco delle migliaia di vite spezzate di cui non rimane traccia visibile.
L’Ara Pacis della Cattedrale di Castellammare di Stabia è un luogo di memoria viva, un punto di riferimento per la comunità che desidera onorare i suoi caduti. Ma è anche un invito a riflettere sulla complessità della storia e sull’incompletezza della memoria ufficiale. Visitare questo luogo significa non solo rendere omaggio ai nomi incisi e ammirare le opere d’arte e d’ingegno, come la lampada del Cantiere Navale, ma anche riconoscere e onorare tutti quei caduti il cui ricordo vive solo nei cuori e nella storia non scritta delle loro famiglie e della loro città.
Questa consapevolezza ci spinge a non dimenticare l’orrore della guerra e a valorizzare la pace, un ideale per cui così tanti hanno lottato… a volte nell’anonimato.
A cura di Giuseppe Plaitano