Clima e comunicazione: bisogna cambiare il modo in cuiparliamo del cambiamento climatico

Nel 1962 la biologa statunitense Rachel Carson pubblicò Silent Spring ‘Primavera silenziosa’ – manifesto anticipatore del movimento ambientalista – in cui delineava scientificamente i danni irreversibili del DDT e dei fitofarmaci sull’ambiente e sugli esseri umani. Da allora molto è cambiato, in meglio e in peggio: dal protocollo di Tokyo del 1997 agli accordi di Parigi del 2015, i governi di tutto il mondo hanno stretto un accordo per contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 2° C, cercando alternative al combustibile fossile, diminuendo l’uso della plastica, applicando leggi più rigide per la tutela dell’ambiente. Anche l’opinione pubblica nel tempo è diventata più sensibile alle tematiche ambientali: basti pensare a Fridays for Future, movimento internazionale di protesta che mobilita milioni di persone a scioperare, seguendo il coraggioso esempio dell’attivista Greta Thunberg, per rivendicare azioni politiche finalizzate a prevenire il riscaldamento globale e il cambiamento climatico.

D’altra parte, il buco dell’ozono, lo scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione, l’avvelenamento della terra e delle acque, l’infiltrazione di microplastiche nell’ambiente e negli alimenti evidenziano che quello che si sta facendo non è sufficiente.

Pochi sono i governi che prendono seriamente la questione climatica, favorendo la salute dell’economia e dello sviluppo a discapito di quella dei propri cittadini. Lo stesso vale per le multinazionali che continuano impassibili a sperperare risorse preziose per l’umanità, disperdere nell’ambiente rifiuti tossici, nascondendosi dietro patetiche promesse di impegno al cambiamento o, addirittura, mentendo spudoratamente ai loro consumatori (vedasi il fenomeno del greenwashing).
Ma allora cosa possiamo fare? Dobbiamo davvero arrenderci a un destino che sembra inevitabile? Oppure cambiare il modo in cui parliamo del cambiamento climatico aiuterebbe certamente a smuovere le acque.

Per troppo tempo si è parlato delle tematiche ambientali come atto altruistico verso la Terra, quasi come se gli effetti dell’inquinamento danneggiassero esclusivamente la flora e la fauna, senza tangere la salute dell’uomo. Ciò ha provocato un disinteresse da parte della popolazione che condizionata anche da ragioni religiose, storiche e politiche che hanno sempre posto l’uomo al di sopra degli altri esseri viventi e al centro dell’universo, ha continuato a fare scelte sbagliate in materia di ambientalismo.

A ciò si aggiunge il tono avverso e allarmista su cui si è sempre incentrata la comunicazione ambientale. La situazione corrente è senza dubbio allarmante, ma istigare un clima di paura e di accusa non porta necessariamente ad un cambiamento di opinioni e abitudini. La paura ci rende immobili, perché convinti di non poter fare la differenza, l’ansia ci fa sentire sopraffatti, portandoci a disimpegnarci e negare l’evidenza.

Infine, dobbiamo abbandonare l’idea che le convinzioni guidino le azioni. Come dimostrato dal neuroscienziato Kris De Meyer in un suo intervento al TEDx del 2023 la percentuale di persone preoccupate per il cambiamento climatico è aumentata esponenzialmente. Ciò però non si è tradotto in un agire concreto. Il divario tra ciò che le persone sono disposte a fare e ciò che realmente fanno è ancora troppo grande. Le azioni, quindi, porterebbero non solo ad un cambiamento delle idee, ma ispirerebbero altre persone a fare lo stesso. De Meyer invita quindi a raccontare storie incentrate sull’agire piuttosto che sull’allarmare.

Dunque, il potere delle parole può cambiare il clima…

A cura di Chiara Castaldo – Servizio Civile Anci Campania

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