Quando un colpo di cannone ai francesi ebbe come ricompensa una “licenza di sali e tabacchi”.

Sorrento, 1799. Il generale francese Sarazin, ormai certo della vittoria, decide di offrire la resa. Una delegazione francese, sventolando bandiera bianca, si dirige verso la Porta del Piano, l’accesso principale alla città. Come da consuetudine, gli emissari avrebbero dovuto essere accolti per discutere i termini della resa.

Tuttavia, due sorrentini – Francesco Gargiulo (nonno del poeta Saltovar) e Domenico Fiorentino – contrari alla capitolazione, si dirigono di corsa verso la “troniera” nei pressi della porta e sparano alcuni colpi di cannone. L’attacco sorprende i francesi: tre soldati restano uccisi e il loro tenente è gravemente ferito.

L’episodio fa infuriare il generale Sarazin, che raduna le truppe e avanza verso Sorrento, pronto a metterla a ferro e fuoco. Solo l’intervento dell’arcivescovo Monsignor Silvestro Pepe e di Gaetano Spasiano (erede di Cornelia Tasso) riesce a scongiurare il peggio.
Nel frattempo, Gargiulo e Fiorentino si rifugiano a Capri. Il loro gesto, tuttavia, non resta senza conseguenze: una parte del Castello di Sorrento viene abbattuta e l’unico ritratto ufficiale di Torquato Tasso viene portato via dai francesi e trasferito al Louvre, dove anni dopo andrà perduto.

Con il ritorno dei Borboni e la cacciata dei francesi dal Regno, si apre il periodo della Restaurazione. Chi aveva tradito il re appoggiando le idee repubblicane viene giustiziato in Piazza Mercato a Napoli; chi invece ha combattuto i francesi riceve onori e ricompense. A testimonianza della fedeltà di Sorrento al re Ferdinando, viene posta la lapide “FIDELITATIS EXEMPLUM” ai piedi della statua di Sant’Antonino.

Anche Francesco Gargiulo, per il coraggio dimostrato contro il nemico, riceve come ricompensa una “licenza di sali e tabacchi”, che gli consente di aprire un negozio tutto suo al “Borgo” di Sorrento (Riv. n. 1 sul Corso Italia).

Conosciuto ormai da tutti come “’o cannuniero”, Francesco rinuncerà in seguito all’attività commerciale per aiutare il figlio Giuseppe – detto “Pupeppe” – che aveva avviato una delle più importanti fabbriche di artigianato sorrentino dell’Ottocento.

A cura di Giornale Weekend

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