“C’è differenza fra dire “disabile” e “persona con disabilità”? Sì, c’è una grossa differenza, perché nel primo caso si identifica la persona con la sua disabilità, nel secondo si mette l’attenzione sulla persona a prescindere dalla sua disabilità. Bisogna usare le parole precise se vogliamo che la gente la smetta di trattare chi ha una disabilità fisica o mentale solo come un poveretto da compatire e non una persona con una vita da vivere”. – Bebe Vio
Per decenni la disabilità era utilizzata solo in ambito clinico. Adottando questo termine si finisce per porre l’attenzione sulla tutela dei propri diritti. Con un simile approccio, la persona con disabilità può essere: un paziente, un richiedente di prestazioni o di servizi che richiede alcuni servizi per specifiche esigenze. Si tratta di una prospettiva fortemente limitata che è stata superata da un ventennio. Nel 2001 l’OMS ha abbandonato l’approccio clinico per individuare “il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive.” Tale definizione va oltre l’operato e la risoluzione ma potrebbe causare discriminazioni e svantaggi che sta alla società rimuovere e semplificare. A partire dal 2006, l’ONU ha emanato una nuova definizione “per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con altri.”
Con suddetta espressione l’ONU ha deciso di porre l’accento sul tema dell’inclusione e della partecipazione in tutti gli ambiti della vita sociale in parità con gli altri. Secondo questa prospettiva, dunque, l’attenzione viene posta non più sulla persona nella sua interezza ma bensì come persona che ha diritto di veder rimossi gli ostacoli alla partecipazione alla vita pubblica, sociale e culturale.
Veste un ruolo fondamentale la scuola, primo vero alleato della famiglia, che provvede alla costruzione di percorsi inclusivi per i propri figli. Una delle figure più influenti del XX secolo è Maria Montessori e il suo metodo educativo da cui prende il nome parte proprio dalla disabilità. Il suo approccio educativo e sociale rivolto ai bambini ha rivoluzionato la psicologia e il mondo educativo, ed è stato applicato nelle scuole di tutto il mondo.
Si pensi che nell’Ottocento la disabilità era considerata un tabù, ai bambini veniva vietata l’istruzione e la partecipazione alla vita sociale. La legge Casati del 1859 sancì la nascita della scuola pubblica, l’obbligatorietà e la gratuità della frequenza scolastica, ad eccezione dei bambini con disabilità. Maria Montessori studiò e approfondì lo stato mentale di questi bambini rendendosi conto che questo disagio non era solo di origine biologica e ambientale ma non erano educati, esposti a nuovi stimoli, per cui data la loro condizione mentale erano destinati a vivere in uno stato di completo abbandono.
È la didattica inclusiva che trasforma l’ambiente educativo, che supera le barriere sociali, che abbatte gli stereotipi, che coinvolge tutti gli alunni, affinché la disabilità non venga più vista come un limite ma come una risorsa, una potenzialità.
Oggi il concetto di disabilità ha subito grossi cambiamenti, basti pensare alle Paralimpiadi, simbolo di inclusione e di uguaglianza.
I volontari Servizio Civile Anci Campania