Non c’è genitore che non abbia provato l’impulso di condividere: un primo sorriso, un bagnetto impacciato, un momento di tenerezza che vorremmo gridare al mondo. Lo facciamo con amore, certo. Ma chi guarda, dall’altra parte dello schermo, potrebbe farlo con tutt’altre intenzioni. È su questa frattura tra intenzione e conseguenza che si innesta “Watch What You Post. They Are”, la nuova campagna lanciata dalla Child Rescue Coalition, organizzazione no-profit impegnata nella prevenzione degli abusi sessuali sui minori. Una campagna diretta, essenziale e a tratti spiazzante, che accende i riflettori su un fenomeno sempre più diffuso: lo sharenting, ovvero la condivisione di immagini e video dei propri figli sui social. Secondo i dati raccolti, ogni giorno circa 500.000 pedofili sono attivi online. Negli ultimi cinque anni, i crimini legati all’adescamento di minori sul web sono cresciuti dell’82%. E in tutto questo, ciò che appare sulle nostre bacheche pubbliche o private — foto intime, video teneri, dettagli quotidiani — può diventare involontariamente materia prima per l’orrore. La campagna comunica senza filtri. Tre video brevi su Instagram, spot radiofonici nei principali podcast dedicati ai genitori e manifesti d’impatto ci mostrano scene familiari, apparentemente innocue, ribaltate nel loro significato: l’occhio del predatore digitale è già lì, pronto a cogliere l’ingenuità altrui come occasione. In Italia come altrove, la consapevolezza è ancora troppo bassa. Si crede che limitare la visibilità del post basti, che “sono solo amici” sia una rete sufficiente. Ma il digitale non dimentica e, spesso, non perdona. Le immagini condivise oggi possono finire altrove domani, a insaputa nostra e dei diretti interessati: bambini che non hanno chiesto di essere messi in mostra. Lo scopo della campagna non è criminalizzare l’atto di condividere, ma educare a una nuova forma di attenzione. Ricordarci che la protezione della privacy non è solo un tema da adulti. È un diritto dell’infanzia. È un dovere genitoriale. Serve una nuova alfabetizzazione, emotiva e digitale, capace di farci riflettere prima di cliccare su “pubblica”. Perché l’amore vero non ha bisogno di essere mostrato a tutti i costi. A volte, protegge silenziosamente. E se proprio vogliamo condividere, iniziamo a condividere una domanda: sto facendo davvero il bene di mio figlio?

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